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Erdogan’s Turkey: from model democracy to repressive regime

15 February 2014

In an article published by L'Intellettuale Dissidente, EFD Researcher Giovanni Giacalone discusses how Erdogan's Turkey is becoming more and more anti-democratic. This analysis follows recent censures, repression of freedom of speech and general abuse of power.

E' evidente che il premier turco non ha imparato nulla dalla storia, neanche dalla più recente. In Egitto il suo "compagno di merende" Muhammed Mursi aveva tentato la stessa strada e l'esito è tutt'oggi davanti agli occhi del mondo interno.

La Turchia entra nella spirale dell’autoritarismo. Sono ormai lontani i giorni in cui il premier turco Tayyp Erdogan era presentato dall’Occidente come “modello di democrazia nel mondo islamico”. Dopo dieci lunghi anni di governo AKP la Turchia è sempre più una “non-democrazia” con tutte le caratteristiche delle peggiori dittature mediorientali: censura, repressione del dissenso, manifestazioni pro-governo palesemente organizzate, controllo sulle indagini che mettono a repentaglio gli interessi della lobby al potere.

Lo scorso dicembre il governo Erdogan è stato scosso da uno scandalo di corruzione in cui sono stati coinvolti molti imprenditori vicini all’esecutivo, i figli di tre ministri e diversi funzionari pubblici.

Indagini durate quattordici mesi che hanno portato all’arresto di una cinquantina di persone, diverse delle quali legate ad accuse di corruzione negli ambienti degli appalti pubblici.  Tra gli arrestati figura anche un uomo d’affari iraniano, Reza Zerrab.

Un fatto intollerabile per Erdogan e il governo ha immediatamente risposto con la rimozione di centinaia di funzionari di polizia, diversi magistrati tra cui il pubblico ministero a capo dell’inchiesta di corruzione, Zekeriya Öz. In aggiunta l’Akp ha presentato un progetto di legge che, di fatto, estenderebbe il controllo dell’esecutivo sulle attività giudiziarie. Provvedimento che secondo gli esperti sarebbe però privo di fondamento costituzionale.

La situazione risulta drammatica anche per quanto riguarda i media; dal 2001 si sono susseguite restrizioni sempre più severe nei confronti della libertà di parola, di stampa e internet. Numerosi i provvedimenti legali nei confronti di media e giornalisti che hanno osato criticare il governo Erdogan. In dieci anni di governo l’AKP ha messo in piedi una potente coalizione con imprenditori e personaggi legati all’ambiente dei media, tutti alle dipendenze del governo; resistere è “teoricamente legittimo”, ma a proprio rischio e pericolo. Non è un caso che il Committee to Protect Journalists (CPJ) ha recentemente affermato che nel 2012 la Turchia è risultato essere il paese con più giornalisti arrestati, battendo persino Iran e Cina.

Un esempio lampante è quello di Mehir Zeynalov, giornalista azero del Today’s Zaman e collaboratore di al-Arabiya, deportato all’inizio della settimana nel suo paese d’origine poichè considerato un “pericolo per la pubblica sicurezza”. Le autorità turche hanno così violato diverse leggi visto che Zeynalov aveva il permesso di soggiorno valido fino al 10 marzo con l’aspettativa di rinnovarlo per un altro anno per motivi di lavoro.

Mehir Zynalov in realtà non rappresentava alcun pericolo per la “pubblica sicurezza turca”, quanto piuttosto per il governo Erdogan; il giornalista aveva infatti osato criticare l’esecutivo sul proprio account di Twitter ed era da tempo in una nota “lista nera” di personaggi ritenuti “pericolosi” per aver denunciato il caso di corruzione dello scorso dicembre.

Nel frattempo anche internet finisce nel mirino delle autorità con una legge votata dal parlamento che legittima la chiusura di pagine internet in poche ore e senza la necessità di un provvedimento della magistratura.

E’ poi ancora più che fresco il ricordo delle proteste di piazza Taksim, con le cariche indiscriminate della polizia nei confronti di uomini, donne, minorenni, con utilizzo di gas urticanti e persino di bulldozer che ricorrevano le persone fin dentro gli edifici.

E’ doveroso citare il caso dell’italiano Daniele Stefanini che venne caricato, picchiato in testa e posto in stato di fermo dalla polizia; tutta la sua attrezzatura venne posta sotto sequestro. A Stefanini fu proibito di parlare al telefono con i familiari e con il consolato italiano. La colpa di Daniele? Aver scattato delle foto che documentavano i drammatici fatti.

Come non ricordare poi le manifestazioni appositamente organizzate la scorsa estate dall’entourage di governo, con trasporti ad hoc da varie parti del paese per portare i propri sostenitori in piazza e mostrare al paese di godere di un presunto e poco credibile appoggio popolare.

Erdogan si ostina a chiamare i manifestanti “sciacalli”, “banditi” e grida al complotto di alcune non ben precisate “forze oscure” che tramerebbero contro il suo esecutivo.

E’ evidente che il premier turco non ha imparato nulla dalla storia, neanche dalla più recente. In Egitto il suo “compagno di merende” Mohamed Mursi aveva tentato la stessa strada e l’esito è tutt’oggi davanti agli occhi del mondo intero.

Certamente la Turchia non è l’Egitto, i meccanismi politici sono ben differenti da quelli egiziani, ma la pazienza del popolo turco non è infinita; Erdogan non può più contare sull’appoggio del suo ex alleato Fetullah Gulen, in esilio fuori dal paese e uomo molto potente sia in ambito educativo che mediatico. Bisogna poi vedere fino a quando l’esercito sarà disposto a tollerare i capricci dispotici dell’attuale premier che stanno tra l’altro portando il paese sempre più lontano da un eventuale ingresso in Europa e stanno anche creando notevoli danni all’economia del paese.

The article was originally published here.