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Il diritto alla rivolta

05 March 2021

Please note, the article below is in Italian.

L’assoluzione dell’ex presidente nel procedimento di impeachment non mette la parola fine alla sedizione creata dai suoi fedelissimi. I “ribelli” che volevano “liberare” il Campidoglio, però non sono tutti uguali.

Limes, 5 March 2021

by Anna Maria Cossiga / Photo credits: Limes Online

Il secondo impeachment a carico di Donald Trump, relativo all’assalto al Campidoglio dello scorso 6 gennaio, si è concluso con l’assoluzione e l’ex-presidente è già tornato ad Orlando ad arringare la folla.


L’attacco al simbolo della democrazia americana, tuttavia, non può essere cancellato, e neppure le ideologie che hanno spinto un così alto numero di persone a ribellarsi. La rivista The Atlantic le descrive come “un’orda armata che cerca di rendere nulle le elezioni in nome della libertà e della democrazia”.


Per quanto contraddittorio possa sembrare, le cose stanno proprio in questi termini: gli insorti hanno parlato di “seconda rivoluzione” sulle orme dei Padri Fondatori e si sono appellati ad un “diritto alla ribellione” che sarebbe garantito dalla stessa democrazia statunitense. Non si tratta, però, di un’invenzione dei giorni nostri. Di un diritto alla resistenza contro un governo ingiusto discutevano già filosofi come Hobbes e Locke, ritenendolo, con modalità diverse, un “diritto naturale” degli uomini. In terra americana, il primo a suggerire che il popolo può ribellarsi ad un monarca tiranno è Thomas Paine, che sollecita i coloni a staccarsi da una madrepatria matrigna. La stessa Dichiarazione d’Indipendenza afferma “che “quando una lunga serie di soprusi ed usurpazioni […] offrono prova evidente del disegno di un governo di assoggettare il popolo a condizioni di dispotismo assoluto, è diritto e dovere del popolo di abbattere quel governo e di creare nuove salvaguardie per la sua sicurezza futura”.

Allora, “il popolo” si ribellava alla tirannia del monarca inglese, il 6 gennaio lo faceva contro una prossima amministrazione che aveva rubato le elezioni e che era pronta ad instaurare un governo ingiusto.


Il problema è che la definizione di governo “ingiusto” non è la stessa per i due contendenti. Che cosa intendano i “difensori” del Campidoglio risulta evidente dai commenti, anche da parte di Biden, che hanno denunciato “l’atto di sedizione”. Per quanto riguarda i rivoltosi, tutti si trovano d’accordo su una cosa: le élite che hanno governato, e che governano, gli Stati Uniti hanno tradito la Costituzione. Che siano Democratici o Repubblicani pusillanimi non ha importanza: è necessario combatterli.


I “ribelli” non fanno parte di un movimento unitario ma vengono considerati come rappresentanti della “estrema destra”, un termine impreciso usato per descrivere movimenti politici, sociali e religiosi di destra che sposano, però, idee assai più radicali del mainstream.


Negli Stati Uniti, l’estrema destra consiste di due grandi ambiti, la cui ideologia, talvolta, si sovrappone. Al primo, appartengono gruppi antigovernativi di varia natura. Il secondo include invece i “suprematisti bianchi” che accusano la politica tradizionale, con il suo approccio liberale ai diritti civili, all’immigrazione e al multiculturalismo, di aver tradito proprio i “bianchi”, soli eredi legittimi dei fondatori degli Usa.


Il suprematismo non è certo nuovo nella storia americana e alcuni movimenti rimandano ad un razzismo che potremmo definire “tradizionale”. La League for the South, per esempio, è un’organizzazione neo-confederata che sostiene la nascita di una nazione governata da un’élite “anglo-celtica” in uno Stato teocratico cristiano, che dominerà politicamente gli afro-americani e le altre minoranze. Al suprematismo nazista si ispirano invece, tra gli altri, The Base e la Atomwaffen Division, costituite per lo più da piccole celle terroristiche, sempre più attive sul web, il cui scopo è portare la società al collasso per ricostruire un etnostato esclusivamente bianco.


Molto più complesso, e più insidioso a livello sociale, è il noto movimento della cosiddetta Alternative Right, più noto come AltRight, fondato nel 2009 da Richard Spencer. Grande sostenitore dell’ex-presidente, divenuto famoso per aver salutato la vittoria del 2016 con un “hail Trump”, chiaramente evocativo del nazismo, Spencer ha descritto il movimento come una “organizzazione indipendente dedicata al retaggio, all’identità e al futuro delle persone di stirpe europea negli Stati Uniti e in tutto il mondo”. La sua ideologia, che si ispira anche a quella della storica Nouvelle Droite francese, fa richiamo allo storico nazionalismo bianco degli USA e al suprematismo nazista. Il suo maggior pericolo, però, risiede, nel passaggio da un razzismo rabbioso e pieno di odio ad una discriminazione nuova e alternativa, che si maschera dietro al proposito di preservare la cultura europea. Lottando contro “l’egemonia culturale” della democrazia liberale, l’AltRight ha creato un gruppo unitario di “altri” demonizzati, in cui i comunisti, i liberali, i non bianchi, le femministe e gli appartenenti alla comunità LGBTQ+ sono responsabili del fallimento sociale e politico della civiltà occidentale. Il movimento è riuscito inoltre a “modernizzare” il linguaggio estremista, mutuando dal web l’ironia e l’umorismo che, sempre più spesso, nascondo insulti razzisti e misogini dietro battute o immagini divertenti (meme). Il richiamo ai computer games e l’abilità nell’uso della rete e dei social media rende l’organizzazione particolarmente pericolosa per i giovani.


Nell’agosto dello scorso anno Spencer aveva già manifestato l’intenzione di appoggiare Biden. “Il momento dell’AltRight si è concluso- aveva dichiarato. -Ma siate pazienti: dobbiamo riprenderci e tornare in una nuova forma”. Il 4 novembre ha pubblicato la sua scheda elettorale, in cui esprime il voto per la nuova amministrazione.


La “minaccia” di un ritorno è preoccupante. In Italia le sorti della AltRight, un tempo collegata, attraverso Steve Bannon, ad alcuni partiti della nostra destra, sembrano aver perso di interesse. Negli Stati Uniti, invece, gli analisti che si dedicano allo studio dell’estremismo violento seguono con apprensione lo sviluppo di un’ideologia che non è scomparsa. Ed è notizia recente che a preoccupare sono anche i Proud Boys, particolarmente attivi il 6 gennaio. Il movimento è sempre stato costituito da molte anime. La più forte è quella antigovernativa ma non sono mancate e non mancano manifestazioni di nazionalismo bianco, di antisemitismo e di islamofobia. Di recente, si sono definiti “sciovinisti occidentali”. Dopo il 6 gennaio e l’insediamento di Biden, i Proud Boys sembrano allo sbando, ma gli esperti avvertono che, arrabbiati e delusi dal comportamento di Trump, potrebbero dividersi in gruppi molto più violenti. La nuova amministrazione, che ha tra le sue priorità quella di ricomporre un tessuto sociale profondamente lacerato, non potrà sottovalutare le metamorfosi di due movimenti che si stanno dimostrando capaci di riorganizzarsi dopo le ultime battute d’arresto. Il primo passo è stato quello di dare inizio ad una valutazione dell’estremismo e del terrorismo interno, assai sottovalutati in passato. Aspettiamo i prossimi.

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