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L’eco della violenza. Un anno dopo l’assalto a Capitol Hill

18 January 2022

Please note, the article below is in Italian.

European Foundation for Democracy e La Stampa – Gruppo GEDI News Network riflettono sulla ferita aperta per gli Stati Uniti d’America

La Stampa, 18 January 2022

Photo credits: La Stampa

Crisi di leadership, analisi dell’infosfera quale pilastro della Sicurezza nazionale, inquadramento della valenza e del “diritto alla ribellione” per facilitare l’attività di prevenzione, sono gli aspetti chiave emersi nel corso della tavola rotonda dal titolo “L'eco della violenza. Un anno dopo l'assalto a Capitol Hill” che si è tenuta giovedì 13 gennaio 2022. Un dibattito organizzato da European Foundation for Democracy e dal suo media partner La Stampa – Gruppo GEDI News Network, in occasione dell’anniversario dei fatti del 6 gennaio 2021. Una ferita aperta per gli Stati Uniti d’America, complicatissima da rimarginare visti i toni conflittuali che ne hanno caratterizzato la ricorrenza. La violazione del tempio sacro della politica a stelle e strisce si è lasciata dietro nove morti, decine di feriti, l'incriminazione di oltre 700 persone, l’imbarazzo degli alleati e il ghigno dei nemici degli Usa è ancora una ferita aperta per una nazione umiliata nel suo ruolo di faro democratico del Pianeta. Un caso in divenire come dimostra il fatto che proprio, mentre era in corso il dibattito, è giunta la notizia dell’arresto di Stewart Rhodes, il fondatore del gruppo di estrema destra Oath Keepers, il primo ad essere accusato di cospirazione sovversiva nell'ambito delle indagini sull'assalto al Congresso.

 

 

Il 6 gennaio 2021 il Congresso si è trasformato per un giorno in teatro di mattanza da parte del mucchio selvaggio “trumpista”, figlio di un movimentarismo che, a destra come a sinistra, animava da tempo le dinamiche di Washington assai più della politica di palazzo. La spaccatura del Paese, resa abissale da quegli eventi ma le cui origini risalgono a ben prima, già forse ad alcune scelte di Barack Obama, di George W. Bush e, addirittura, di Bill Clinton, non sono state sanate affatto in questo primo anno di presidenza di Joe Biden, anzi. E il cui risultato è quello di trovarsi dinanzi a una nazione ancora sulle barricate, come emerso nel corso della tavola rotonda trasmessa su Zoom, sul sito de La Stampa e sui canali Facebook del quotidiano e della Fondazione con sede a Bruxelles.

«L’estremismo e la violenza in genere trovano terreno fertile laddove ci sono dei vuoti politici e di leadership. Strumentalizzare i malesseri e le difficoltà dei cittadini di una nazione per polarizzare il dibattito politico, dipingere la controparte come il nemico da combattere e invocare scenari legati alla violenza come soluzione non è solo sbagliato, è anche il segno di una incapacità di governo e di uno scadimento di qualità tra i protagonisti della scena politica», spiega Francesco Farinelli, relatore e programme director di European Foundation for Democracy e membro del pool di esperti del Radicalisation Awareness Network. «In uno scenario di grande complessità e in continua evoluzione per quanto concerne le sfide poste alle democrazie occidentali - chiosa Farinelli -, i fatti di Capitol Hill devono farci riflettere attorno alla necessità di non restare indifferenti alla violenza, da qualsiasi colore essa provenga, e di concentrarci con forza sull’implementazione di percorsi educativi che possano rinsaldare, specialmente nelle nuove generazioni, la fiducia nella democrazia come forma di lotta contro le degenerazioni della violenza».

 

 

«L'elezione del presidente Joe Biden, e le prime reazioni di una certa parte dei vertici repubblicani, che avevano condannato il sostegno di Trump ai riottosi, chiedendo un ritorno al tradizionale partito repubblicano ‘no-pop’, avevano suscitato la speranza di una nuova unità nazionale». - racconta Francesco Semprini, relatore e giornalista de La Stampa da New York, inviato di guerra e autore del libro Twenty, il nuovo secolo americano. «Ad un anno di distanza la prospettiva appare sfumata sia per i limiti della nuova leadership di governo e un partito democratico diviso e rissoso, sia per l’incapacità del Grand Old Party di consacrare nuovi punti di riferimento post “trumpisti” - prosegue -. Il tutto mentre nel resto del mondo dinamiche e leadership sembrano risentire in maniera più o meno diretta, e con magnitudo e direzioni diverse, delle vicende del Capitol Hill».

Per Arije Antinori, relatore, senior Analyst di European Foundation for Democracy e docente Università di Roma, «occorre porre l'attenzione sulla complessità dell'infosfera estremistico-violenta statunitense perché siamo dinanzi a dinamiche di evoluzione, mutamento, overlapping e convergenza fenomenica le cui gemme, seppur nelle diversità di contesto, possono essere osservate anche nel contesto europeo. La sicurezza (cyber-)sociale è il paradigma chiave per poter cogliere la portata della minaccia rappresentata dalle nuove strategie e tecniche di cognitive warfare, sempre più sociocognitive, soprattutto di bassa intensità e lungo raggio, agite orizzontalmente dall'interno attraverso per esempio l'ambiguità memetica. E' inoltre necessario mantenere alta l'attenzione sulla possibilità di interferenza, ingerenza e influenza da parte di attori esteri che possono favorire, accelerare e sostenere indirettamente i processi di logoramento del tessuto socioculturale e politico creando delle ferite profonde alle democrazie occidentali. L'analisi, prevenzione, contrasto, mitigazione e anticipazione di tali minacce deve essere uno degli obiettivi principali della Sicurezza Nazionale». Secondo l’esperto di terrorismo ed estremismo, «abbiamo bisogno di cittadini e istituzioni concretamente presenti e consapevoli della complessità del XXI secolo, soprattutto sul fronte della sicurezza. La creazione e valorizzazione delle competenze ibride deve essere la stella polare cui guardare. Mi auguro che con il PNRR si dia concretamente spazio all'innovazione per una democrazia più sicura, orizzontale e forte nel tempo, ne va del futuro di ognuno di noi, del nostro Paese».

 

 

Anna Maria Cossiga, relatrice, senior analyst di European Foundation for Democracy e membro Commissione Parlamentare sulla Radicalizzazione, parte dall’antropologo Clifford Geertz e dalla sua lettura del compito della sua categoria: «Con non poco successo abbiamo cercato di scuotere il mondo, tirando da sotto i piedi i tappeti, rovesciando i tavolini da tè, facendo esplodere petardi. Compito di altri è stato quello di rassicurare, il nostro quello di destabilizzare». «Nel caso dell’attacco a Capitol Hill dello scorso 6 gennaio e delle violenze cui si è assistito, il discorso è lo stesso. Per capire quella violenza, non si può prescindere dalla storia e dalla cultura statunitense, con le sue contraddizioni e i suoi “lati oscuri». Siamo abituati alla rappresentazione di sé che gli Usa hanno offerto al mondo (ogni Paese offre al mondo una rappresentazione, una narrazione di sé): la democrazia per antonomasia, il faro sulla collina per tutte le altre nazioni, il Paese che riconosce che tutti gli uomini sono creati uguali e hanno diritto alla felicità - sottolinea l’antropologa -. Ma ogni identità culturale ha le sue contraddizioni, e quella statunitense non fa eccezione. Insieme all’uguaglianza degli uomini, ci sono state la schiavitù e il razzismo; quest’ultimo non certo debellato. Inoltre, la democrazia americana nasce da una rivoluzione, da un atto violento, dunque, benché giustificato come ribellione contro un monarca tiranno.

Il dibattito sul “diritto” alla ribellione è antico ma tuttora presente negli Stati Uniti. Per quanto strano possa sembrarci, in base all’idea degli USA che abbiamo accettato, gli assalitori del Campidoglio erano convinti di esercitare il proprio diritto alla ribellione contro élite tiranne che avevano “rubato” le elezioni e messo in pericolo la democrazia. La violenza, inoltre, era necessaria e giustificata perché solo attraverso di essa è possibile “rigenerare” la democrazia. Ho cercato - conclude Anna Maria Cossiga - di “rovesciare i tavolini da tè” per stimolare una riflessione sul fatto che la violenza è un aspetto culturale che va analizzato e problematizzato. Solo così, attraverso la conoscenza, si può procedere alla prevenzione della violenza nelle nostre società.

 

The original article is available here: https://www.lastampa.it/esteri/2022/01/18/news/l_eco_della_violenza_un_anno_dopo_l_assalto_a_capitol_hill-2835221/