News
Let’s stop the massacres in Sudan
EFD Fellow Valentina Colombo discusses the death sentence given to Maryam Yahya Ibrahim, accused of apostasy. Valentina urges her audience to continue to support the battle for religious freedom.
Maryam Yahya Ibrahim: 27 anni, dottoressa, madre di un bambino di due anni, incinta all'ottavo mese, condannata a morte e a 100 frustate perché cristiana e sposata con un cristiano
“Sono cristiana, non ho affatto apostatato”. Così la dottoressa sudanese Maryam Yahya Ibrahim ha dichiarato in tribunale, dopo che un religioso islamico aveva cercato per trenta minuti di convincerla a “ritornare all’islam” ovvero a ritrattare la propria apostasia.
La storia, o meglio l’incubo, di Maryam, ventisettenne madre di un bambino di quasi due anni e incinta di otto mesi, dimostra quanta strada debbano ancora percorrere alcuni paesi islamici per assicurare ai propri cittadini i diritti umani fondamentali.
Il 15 maggio 2014 Maryam è stata condannata a 100 frustate, per adulterio e alla pena di morte, per apostasia. Inizialmente, nell’agosto 2013, la dottoressa venne arrestata con l’accusa di adulterio, perché sposata con un cristiano con il quale ha avuto un figlio. In base all’articolo 146 del Codice penale sudanese è sufficiente essere sposata con un non musulmano per essere accusata di adulterio.
Durante il processo, nel febbraio 2014, la donna ha spiegato di essere cristiana e quindi è scattata l’accusa di apostasia, in base all’articolo 126. Molti attivisti sudanesi hanno manifestato fuori dall’aula del tribunale, mostrando cartelli che recavano le seguenti scritte: “No al processo alle religioni”, “Nessuna costrizione in religione”, “Rispettate la libertà delle religioni”.
Le ambasciate di Stati Uniti, Canada, Regno Unito e Olanda hanno emesso un comunicato congiunto chiedendo il rispetto della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Amnesty International si è immediatamente mobilitata.
Ma per comprendere a fondo l’assurdità di quanto sta accadendo alla giovane madre e sposa sudanese, per comprendere l’atrocità del brutale verdetto emesso nei confronti di Maryam, bisogna ripercorrerne rapidamente la vita.
Maryam è nata da un padre musulmano e madre cristiana ortodossa etiope. Il matrimonio dei suoi genitori è quindi islamicamente corretto poiché, nel diritto islamico, è consentito a un musulmano sposare una donna appartenente alle Genti del Libro ovverosia una cristiana o una ebrea.
Il diritto islamico invece non prevede il viceversa, per cui Maryam è stata accusata di adulterio poiché ha sposato, un cristiano che, come previsto dalla sharia, non ha abbracciato l’islam prima di contrarre il matrimonio, quindi è “illegale”.
Ma Maryam è musulmana o cristiana? La donna afferma di essere cristiana, il tribunale la considera una musulmana e la condanna in quanto tale.
Per impedire la condanna a morte i diplomatici di vari paesi e Amnesty International si appellano alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 ed in particolare al rispetto delle libertà religiosa, mentre i giudici sudanesi fanno riferimento alla Dichiarazione del Cairo dei Diritti dell’Uomo nell’islam del 1990, e sostengono che Maryam è musulmana ed è apostata.
Eppure nel Preambolo della Dichiarazione del Cairo dei Diritti dell’Uomo nell’islam del 1990, è scritto che si desidera “contribuire agli sforzi compiuti dall’umanità per garantire i diritti dell’uomo, proteggerlo dallo sfruttamento e dalle persecuzioni e affermare la sua libertà e il suo diritto a una vita dignitosa, conformemente alla Legge islamica”. All’articolo 11 si legge che “l’uomo è nato libero.”
E all’articolo 5 si afferma che “uomini e donne hanno il diritto di sposarsi, e nessuna restrizione basata sulla razza, il colore o la nazionalità potrà impedire loro di esercitare questo diritto”, sottacendo però le restrizioni appena citate che riguardano l’appartenenza religiosa dei futuri coniugi.
E’ infatti all’articolo 11 che si trova l’affermazione chiave: “L’islam è la religione naturale dell’uomo (al-islam huwa din al-fitra). Non è lecito sottoporre quest’ultimo a una qualsivoglia forma di pressione o approfittare della sua eventuale povertà o ignoranza per convertirlo a un’altra religione o all’ateismo”.
L’articolo 11 si basa sul concetto espresso dal versetto coranico 30 della sura XXX “Drizza quindi il tuo volto verso alla vera Religione, in purità di fede, Natura prima in cui Dio ha naturato gli uomini” e dal detto di Maometto trasmesso da Abu Hurayra secondo cui “Ogni bambino nasce con la disposizione naturale all’islam (fitra), sono poi i suoi genitori che lo fanno ebreo, cristiano o zoroastriano”.
In base a quanto appena esposto l’islam non prevede un sacramento simile al battesimo e considera ogni persona nata da padre musulmano come fisiologicamente musulmana. Sarebbe questo il caso di Maryam secondo il tribunale sudanese.
Ma ancora una volta la vita della donna contraddice quanto sostenuto dai giudici.
Quando aveva sei anni Maryam e la madre vennero abbandonate dal padre musulmano. La mamma ha cresciuto la figlia alla propria fede. Ed ha ragione Maryam quando afferma che è cristiana poiché non ha conosciuto altra religione nella sua vita.
Il caso della giovane sudanese è ancora più emblematico di tante altre accuse di apostasia poiché, qualora la condanna venisse confermata dal tribunale di ultimo grado, rappresenterebbe un pericoloso precedente che vorrebbe considerare apostata chi non ha mai cambiato il proprio credo e non ha mai saputo di appartenere all’islam.
Fortunatamente la gravidanza della donna e le regole del diritto islamico a riguardo faranno sì che la sentenza non potrà essere applicata per i prossimi due anni ovvero sino al termine dell’allattamento.
In questo lasso di tempo le organizzazioni internazionali, la diplomazia internazionale e l’opinione pubblica dovrebbero mobilitarsi per far rispettare il diritto alla libertà religiosa.
A tale proposito la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo all’Articolo 18 sostiene che: “Ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti”.
All’articolo 5 la stessa dichiarazione afferma che “Nessun individuo potrà essere sottoposto a trattamento o punizioni crudeli, inumani o degradanti”. All’articolo 30 è scritto che “Nulla nella presente Dichiarazione può essere interpretato nel senso di implicare un diritto di qualsiasi Stato gruppo o persona di esercitare un'attività o di compiere un atto mirante alla distruzione dei diritti e delle libertà in essa enunciati”.
Se non ci si batterà per far rispettare la libertà religiosa, una giovane donna incinta di otto mese e già madre di un bambino di appena due anni, verrà barbaramente frustata e uccisa.
The article was originally published here.