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Muslim Brotherhood in Egypt, wolves in sheep’s clothing
Since the overthrow of Mohamed Morsi, Egyptian tribunals have been deploying the death penalty and other harsh punishments against the Muslim Brotherhood. This has been met with criticism from the international community, which considers mass death sentences a significant obstacle to the achievement of democracy in Egypt. While EFD Senior Fellow Valentina Colombo takes a stand against such convictions, she points out that the Muslim Brotherhood is far from being an innocent victim. In this respect, Western countries should be careful not to fall into the trap set by the Muslim Brotherhood, who present themselves as peaceful actors in the Egyptian political arena.
Da quando lo scorso 24 marzo il tribunale di Minya ha trasferito al Gran Mufti d’Egitto la proposta di condanna a morte per 529 membri dei Fratelli musulmani e il 25 marzo lo stesso tribunale ha avviato il processo per altri 682 si sono susseguite dichiarazioni a livello internazionale per condannare l’ingiustizia nei confronti dei sostenitori del deposto presidente Mohammed Morsi. Dichiarazioni che si sono ripetute da quando lo scorso 28 aprile Said Youssef, il giudice del tribunale di al-Minya ha proposto la condanna a morte anche per il secondo blocco di imputati. Va sottolineato che lo stesso Youssef nel frattempo ha ridotto la pena a molti imputati del primo processo convalidando la condanna a morte a sole 37 persone. Entrambi i processi sono correlati agli eventi dell’agosto 2013, successivi quindi all’allontanamento del presidente Morsi, che hanno visto attacchi nei confronti di stazioni di polizia e di chiese.
La portavoce del Dipartimento di Stato americano Jen Psaki ha dichiarato: «Gli Stati Uniti sono profondamente preoccupati dalle odierne azioni del tribunale egiziano riguardanti un altro processo di massa e condanne a morte preliminari così come dalla messa al bando delle attività del movimento giovanile del 6 aprile. Le decisioni del tribunale contravvengono i più basilari principi democratici e favoriscono l’instabilità, l’estremismo e la radicalizzazione che il governo egiziano di transizione afferma di volere risolvere». Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon ha parlato di «una presa in giro dello stato di diritto».
I Fratelli Musulmani hanno emesso un comunicato in cui si ribadisce che «il colpo di stato militare fascista conferma giorno dopo giorno la propria natura sanguinaria e rivela il proprio viso ripugnante e il proprio progetto di sterminio collettivo dei figli del popolo [egiziano] prima uccidendoli nelle strade e nelle piazze e nelle università, poi arrestandoli, perseguitandoli e uccidendoli nelle prigioni, nei cellulari per poi condurli sui patiboli dopo sentenze ingiuste di giudici che non conoscono i limiti imposti dalla giustizia e dalla rispettabilità […] Il messaggio del popolo libero, che non viene compreso dagli attori del golpe militare e dai loro strumenti negli ultimi dieci mesi intrisi di sacrifici, di pazienza, […] e attestati di eroismo da parte uomini, donne, ragazzi, ragazze, bambini, è la conferma di volere spezzare e allontanare il golpe con il permesso di Allah – Egli è l’Altissimo – e liberare il paese da ogni genere di tirannide e oppressione». Segue un appello alla comunità internazionale, alla società civile e in particolare alle ONG che si occupano di diritti umani.
Ebbene, pur confermando una condanna dell’istituzione della pena di morte e pur confermando una problematicità seria a livello di libertà di espressione nell’Egitto di oggi così come nell’Egitto di Mubarak e di Morsi, va ricordato al mondo intero che i Fratelli Musulmani sono ben lungi dall’essere delle vittime innocenti.
I Fratelli Musulmani, come si evince dal comunicato appena citato, stanno cercando di presentarsi alla comunità internazionale come i portavoce del popolo egiziano, vittima in modo indiscriminato dei militari al potere, ma dimenticano che la petizione del movimento Tamarrod, che ha portato all’allontanamento, dopo il fallimento di ogni tentativo di mediazione, di Mohammed Morsi, è stata firmata da trenta milioni di egiziani che erano in prima istanza contrari, talvolta delusi, alla politica della Fratellanza. Anche l’ultima Lettera della settimana pubblicata sul loro sito cerca di offrire un’immagine non belligerante del movimento fondato da Hasan al-Banna. Il titolo scelto è abilmente a effetto: «Lettera dai Fratelli musulmani… il movimento dei Fratelli musulmani è una denominazione puramente pacifica». Si sottolinea che si tratta di «un movimento di musulmani, che crede nell’islam come credo e Legge, il cui progetto riguarda la vita intera [del musulmano], propone una civiltà che riunisce in sé l’aspetto spirituale e materiale, che propone un equilibrio tra il singolo e la società […], segue il cammino dell’Inviato di Allah, si dedica all’invito a Allah […] educa i singoli ai precetti dell’islam e ai fondamenti etici dell’islam affinché il singolo musulmano devoto possa avere un’identità viva che compia il bene. […]». Seguono una condanna del colonialismo e del terrorismo. Si tratta di un messaggio rasserenante per chi non conosce la vera natura dei Fratelli musulmani e il loro linguaggio e non sa, per esempio, che la condanna del terrorismo non esclude la resistenza armata qualora necessario, proprio come nel caso dell’Egitto post-Morsi.
Eppure basterebbe leggere il documentato rapporto dell'Ibn Khaldun Center su “Gli abusi commessi dagli ausiliari dei Fratelli musulmani (dal 30 giugno sino alla dichiarazione dei Fratelli musulmani come organizzazione terroristica)”. Nell’Introduzione si legge: «I membri del movimento terroristico dei Fratelli musulmani hanno messo in atto una serie di aggressioni e di roghi nei confronti di strutture pubbliche, sedi della polizia, centri preposti alla sicurezza, chiese a seguito della dispersione delle proteste in piazza Rabia e piazza Nahdha, così come gli studenti del movimento terroristico dei Fratelli Musulmani, sin dall’inizio del nuovo anno scolastico, hanno cercato di disturbare l’insegnamento e di bloccare le lezioni nelle università e nelle scuole, di terrorizzare gli studenti e attaccare i professori […]». Tuttavia l’informazione più interessante riguarda gli attacchi violenti della Fratellanza nei confronti di un gruppo di fuoriusciti, che ha assunto la denominazione eloquente di “Fratelli senza violenza” (ikhwan bila ‘unf), che si erano rifiutati di “eseguire gli ordini”.
Il rapporto assume un valore aggiunto nel momento in cui il Centro è diretto dall’attivista per i diritti umani Saad Eddin Ibrahim che nel 2010, in una intervista ripresa anche dal sito inglese della Fratellanza, indicava il movimento come «una buona e solida alternativa, a patto che istituiscano uno stato civile completo e senza condizioni e cambino alcune opinioni che contrastano la società civile – come consentire a un copto e una donna di candidarsi alla presidenza».
Saad Eddin Ibrahim non è il solo ad avere oggi la certezza che il movimento dei Fratelli Musulmani istiga alla violenza e dovrebbe essere inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche. Magdi Khalil, egiziano copto e presidente del Middle East Forum di Washington, se da un lato ritiene che «il processo di fatto è venuto a meno ai requisiti della giustizia», dall’altro canto non usa mezzi termini: «Le Nazioni Unite forse non sanno che solo 87 persone sono quelle che verranno di fatto uccise. Quello che il mondo intero non sa e contro il quale non vuole agire è che i Fratelli Musulmani sono l’albero che alimenta il terrorismo nel mondo intero, i soldi del Qatar e della Turchia sono diventati parte di questa rete terroristica mondiale e le Nazioni Unite devono inserire i Fratelli Musulmani tra le organizzazioni terroristiche prima di parlare di una sentenza che di fatto è solo di primo grado». Il sociologo politico Said Sadek ci ha presentato la sua interpretazione della sentenza. Partendo dal presupposto che «l’Egitto non risulta ai primi posti tra le nazioni che applicano la pena di morte a differenza di paesi come Cina, Iran, Arabia Saudita e Stati Uniti», Sadek fa riferimento a una tattica ben precisa della Fratellanza: «Questa tattica consiste nell’organizzare un gruppo armato che circonda un obiettivo (un politico o un ufficiale della sicurezza) e lo uccide. In una simile situazione diventa legalmente difficile condannare centinaia di persone. Il giudice in questione ha deciso di porre fine a questa tattica condannando tutte le persone coinvolte e/o presenti per lanciare il messaggio che ogni crimine verrà punito». Anche Sadek, come Khalil e Ibrahim, rivolge all’occidente un appello: «I mezzi di comunicazione e i politici occidentali sono caduti nella trappola della propaganda dei Fratelli Musulmani che vuole che il processo e la sentenza siano rivolti contro ‘oppositori innocenti’ e che gli islamisti siano amanti della democrazia e intellettuali come Thomas Jefferson. I Fratelli Musulmani hanno rigirato gli eventi per fare sì che i governi e l’opinione pubblica si schierassero con gli aggressori e non con le loro vittime».
Ancora una volta l’Occidente si trova di fronte a una scelta: credere ai Fratelli Musulmani oppure alla maggioranza degli egiziani. Se gli Stati Uniti e le Nazioni Unite fossero onestamente e sinceramente dalla parte del popolo egiziano, allora basterebbe loro leggere la storia dell’Egitto contemporaneo per capire la natura dell’internazionale dei Fratelli Musulmani. Se gli Stati Uniti e le Nazioni Unite fossero davvero con il popolo egiziano allora dovrebbero fare in modo di portare il nuovo presidente egiziano ad avviare una nuova era nel nome della vera libertà di espressione che non deve considerare come nemici tutti gli oppositori, bensì solo coloro che relativizzano la sacralità della vita e il ricorso alla lotta armata.
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