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Riflessioni sull’attentato al bus di Milano
Mercoledì 20 marzo, l’autista di un autobus che trasportava 51 giovani studenti ha improvvisamente cambiato percorso dirottando il mezzo verso Linate. Fonti di polizia riferiscono che l’uomo, durante il tragitto, avrebbe urlato «Stop alle morti in mare. Farò un massacro». Aveva con sé due taniche di benzina che ha utilizzato per dare alle fiamme il mezzo di trasporto con i giovanissimi studenti ancora dentro. L’intervento dei Carabinieri sulla Strada statale 415 Paullese ha evitato il peggio, riuscendo a fermare l’autobus e a mettere in salvo i ragazzini.
L’obiettivo prescelto da Ousseynou Sy, questo il nome dell’attentatore, così come la motivazione che lo ha condotto a compiere l’attentato stesso non lasciano molto spazio ai dubbi: si è trattato di un attentato terroristico. Da un lato, infatti, il target di colpire dei civili inermi e, dall’altro, la motivazione politica che ha ispirato l’attacco costituiscono due delle caratteristiche largamente condivise dalla comunità internazionale per definire un attentato terroristico. La realtà, però, è sempre più complessa di qualsiasi etichetta e mentre cerchiamo ancora di comprendere cosa sia esattamente accaduto, andando al di là delle informazioni parziali fin qui disponibili, ci appare opportuno porre alla pubblica attenzione alcune criticità che l’evento in oggetto contribuisce a evidenziare:
- Non esiste ad oggi una definizione universalmente condivisa di terrorismo. La sua definizione viene per lo più formulata attraverso la descrizione di alcune sue caratteristiche funzionali. Ciò facilita una strumentalizzazione dell’utilizzo del termine.
- L’attentatore aveva un lavoro regolare e una famiglia, anche se separato dalla moglie. La matrice ideologica sembra dunque prevalere su qualsiasi altro fattore contributivo e potenzialmente legato a problemi di ordine economico e sociale. Stando alle parziali informazioni attualmente disponibili aveva precedenti penali, un dato che lo accomuna a molti altri attentatori in Europa.
- L’azione estremista condotta in nome di una pretesa protezione dei migranti appartiene alla narrativa radicale di estrema sinistra, costituendo l’altra faccia della medaglia dell’ideologia di estrema destra che proietta invece nel mantra dell’”invasione straniera” e della necessità di “proteggere la razza bianca” la sua ragion d’essere. Abituati, ormai da anni, a considerare l’estremismo di sinistra come una minaccia solo potenziale – nonostante i rapporti Europol tratteggino una realtà decisamente diversa –, l’attacco condotto da un emigrato senegalese contro cittadini italiani per motivazioni legate al tema dei migranti reca stupore nell’opinione pubblica, lasciando un senso di smarrimento dovuto sia alla difficoltà di una definizione certa, quella di terrorismo, sia alla problematica della catalogazione dell’estremismo di sinistra che, in un clima polarizzato come quello italiano, rischia di accentuare le divisioni politiche a discapito della stabilità sociale.
- Ogni studioso di radicalizzazione, estremismo violento e terrorismo conosce bene la reciproca influenza e alimentazione che anima gli opposti estremisti di destra e di sinistra. La politica italiana, la società civile largamente intesa e il mondo dei media dovrebbero interrogarsi sulla diffusione di messaggi che incitano alla separazione settaria, al razzismo, alla messa in discussione dei principi democratici, all’esistenza di forme di estremismo “buone” contro forme di estremismo “cattive” che danneggiano la credibilità dell’intero sistema italiano nell’ambito della prevenzione della radicalizzazione e del contrasto al terrorismo. Il caso di Luca Traini, che nel febbraio 2018 sparò contro immigrati nord africani ferendone sei, motivato da un’opposta ma speculare giustificazione estremista (la protezione del popolo italiano da una supposta pericolosa alterità), funge da cartina di tornasole a questo proposito.
L’utilizzo della violenza deve essere sempre condannato senza tentennamenti e senza giustificazioni, indipendentemente dalle motivazioni che ne sono alla base. È fondamentale, inoltre, ricordare che il terrorismo non si misura e non si definisce sulla base della bontà o meno degli obiettivi prefissi. Se così fosse, la quasi totalità delle ideologie radicali e totalitarie che alimentano l’estremismo violento e la messa in discussione dei principi democratici troverebbe una macabra giustificazione nel motto machiavellico de “il fine giustifica i mezzi”.