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Strike USA in Siria, il primo di Biden
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Nella notte tra il 25 e il 26 febbraio, l’Aeronautica USA ha compiuto diversi strike in Siria contro milizie sciite fedeli all’Iran.
Rivista Italiana Difesa, 26 February 2021
by Lorenzo Marinone / Photo credits: Rivista Italiana Difesa
Nella notte tra il 25 e il 26 febbraio, l’Aeronautica USA ha compiuto diversi strike in Siria contro milizie sciite fedeli all’Iran.
E’ il primo ordinato dalla nuova Amministrazione Biden. Nello specifico, sono state colpite diverse strutture all’interno della base militare Imam Ali, circa 6 km a sudovest della cittadina siriana di Albu Kamal. Albu Kamal è l’ultimo centro urbano prima del confine con l’Iraq lungo il corso dell’Eufrate e da metà 2017 è stata strappata a Daesh dai lealisti siriani di Assad insieme alle forze russe e al network di milizie organizzato dall’Iran. La base Imam Ali è un elemento centrale della proiezione iraniana nel quadrante: garantisce i collegamenti con l’Iraq ed è quindi parte di quel ponte di terra che collega Teheran a Beirut su cui si basa in gran parte la strategia di difesa attiva della Repubblica Islamica. Secondo il Pentagono, la base è in uso a milizie sciite di origine irachena, ma dispiegate da anni in Siria a supporto di Damasco, tra cui soprattutto Kataib Hezbollah (KH) e Kataib Sayyid al-Shuhada (KSS). Washington ha giustificato gli strike come rappresaglia per il lancio di razzi contro il settore militare dell’aeroporto di Erbil, nel Kurdistan iracheno, che il 15 febbraio aveva preso di mira le Forze della Coalizione anti-Daesh. L’attacco è stato rivendicato da una oscura milizia sciita, Saraya Awliya al-Dam, ma è stato con ogni probabilità organizzato da milizie irachene filo-iraniane di spessore ben maggiore. L’area da cui è avvenuto il lancio (Bartella, vicino Mosul) e i media da cui è provenuta la rivendicazione fanno supporre che l’autore dell’attacco sia Asaib Ahl al-Haqq (AAH) guidata da Qais al-Khazali. L’uso di proxy da parte delle milizie irachene legate a Teheran è una strategia che si è consolidata negli ultimi 2 anni e che ha lo scopo di mantenere la pressione sugli Americani limitando l’esposizione dei gruppi armati più facilmente riconducibili alla sfera iraniana. Con questo strike, la nuova Amministrazione Biden manda dei messaggi chiari all’Iran, con cui sottotraccia sono subito ripartiti i contatti per rivitalizzare il JCPOA, l’accordo sul nucleare. Colpendo in Siria in rappresaglia a un evento avvenuto in Iraq, Washington segnala che ritiene inaccettabile la dimensione regionale della proiezione iraniana tramite proxy. Cambia poi la strategia: durante l’era Trump gli USA avevano di fatto delegato a Israele il contenimento dell’Iran nella regione, astenendosi da condurre strike. Il nuovo coinvolgimento americano dà a Washington una leva in più nei negoziati con Teheran. In più, la scelta del bersaglio, non direttamente riconducibile agli autori dell’attacco di Erbil, sottolinea che gli Americani vedono la rete di milizie filo-Teheran come uno strumento unitario e coerente in mano alla Forza Qods. L’impressione è che Biden punti a trattare congiuntamente Siria e Iraq, ovvero a includere la richiesta di una qualche forma di smobilitazione del network siriano nelle discussioni sul futuro assetto iracheno (nel quadro del ritiro delle forze americane dal Paese). Non va escluso che gli USA abbiano deliberatamente colpito milizie non direttamente coinvolte a Erbil per giocare sulle divisioni interne al network filo-Iran. Infatti, il cessate il fuoco annunciato a ottobre 2020 da KH, la principale milizia sciita irachena, ha spaccato la “cupola” che regge la rete iraniana nel Paese. AAH è il gruppo armato più importante che si è subito opposto a questa decisione, preferendo continuare la campagna contro gli USA giustificandola come rappresaglia per l’uccisione dell’ex leader della Forza Qods Qassem Soleimani.
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