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The deception of the Arab Spring and the increasingly unstable Middle East
EFD Researcher Giovanni Giacalone on the 'redefining' of the Middle East following the aftermath of the Arab Spring.
Linganno della primavera araba e il Medio Oriente sempre più instabile
L’ANALISI – La cosidetta “Primavera Araba”, fenomeno presumibilmente nato in modo spontaneo nel 2011, nell’arco di breve tempo ha portato alla caduta dei rispettivi regimi in Egitto, Libia e Tunisia ed è andata anche oltre, facendo crollare i precedenti equilibri mediorientali con un conseguente processo di ridefinizione del mondo islamico tutt’ora in corso.
Vi sono alcune teorie che parlano di rivolte parzialmente o totalmente pilotate dall’amministrazione Obama con l’obiettivo di sostituire Gheddafi, Ben Ali, Mubarak e Assad con governi legati ai Fratelli Musulmani; altre parlano di movimenti nati spontaneamente e “cavalcati” dagli Stati Uniti per cercare di mantenere una propria egemonia nell’area ed allargarsi anche in paesi fuori dalla propria portata, come Siria e Libia. Non è obiettivo di quest’analisi confermare o confutare tali teorie quanto piuttosto approfondire le dinamiche all’interno dell’attuale contesto mediorientale. Una cosa è però fuori discussione, non si era mai vista una situazione così caotica in Medio Oriente. L’attuale ridefinizione del Medio Oriente può essere analizzata su più livelli:
Sciiti contro sunniti
Con lo scoppio delle rivolte l’”asse sciita”, che include Iran, Iraq, Siria e Libano, e che si estende dal Golfo Persico fino alle coste del Mediterraneo orientale, è entrato in crisi a causa dell’espandersi delle violenze. Se inizialmente la rivolta siriana aveva portato a un duro scontro tra l’opposizione, prevalentemente sunnita, e il regime sciita-alawita di Assad, pian piano il conflitto ha sconfinato nel vicino Libano, da sempre satellite di Damasco, scatenando violenti scontri tra le fazioni sunnite e salafite da una parte e le milizie sciite filo-iraniane di Hizbullah dall’altra.
Negli ultimi 12 mesi Tripoli e Beirut sono state teatro di violentissimi scontri e attacchi; numerosi gli attentati che hanno preso di mira obiettivi di Hizbullah e persino l’ambasciata iraniana. Hizbullah è a sua volta entrato in Siria per combattere a fianco di Assad contro ELS e gruppi jihadisti.
Anche in Iraq la situazione è estremamente calda; il boicottaggio da parte sunnita delle elezioni del 2005 e le proteste nei confronti del governo sciita del premier al-Maliki ha portato a scontri tra le due fazioni che vanno ormai avanti da diversi anni e che sono verosimilmente alimentati da Iran e Arabia Saudita. Infatti se il primo ha tutto l’interesse affinchè il paese resti sotto il controllo degli sciiti, l’Arabia Saudita preme per infiltrare cellule salafite nel paese e cercare di spezzare l’asse sciita.
I nazionalisti contro i Fratelli Musulmani
Un altro elemento di estrema importanza è la rapida caduta dei Fratelli Musulmani in Tunisia e in particolar modo in Egitto dove, nell’arco di poco più di un anno, sono passati dalle “stelle alle stalle”, o forse sarebbe meglio dire “alle celle”. Nell’estate 2013, infatti, una sommossa popolare appoggiata dall’esercito ha portato alla caduta del regime Mursi. La Fratellanza è diventata nell’arco di breve tempo fortemente impopolare tra gli egiziani, i leaders dell’organizzazione sono stati arrestati con numerose accuse tra cui quelle di incitazione alla violenza e all’omicidio, spionaggio per conto di Hamas e Hizbullah, sono attualmente sotto processo e, se riconosciuti colpevoli, rischiano la pena di morte. In seguito alla deposizione del governo Mursi sono iniziati una serie di attentati che hanno preso di mira politici, militari, poliziotti e turisti tanto che recentemente il governo egiziano ha messo fuori legge anche Hamas, accusata di spalleggiare le fazioni jihadiste egiziane filo-Fratelli ritenute responsabili degli attentati.
In Tunisia il governo Ennahda, anche questo legato ai Fratelli Musulmani, in seguito a durissime contestazioni da parte del popolo tunisino, è stato costretto a rassegnare le dimissioni, ma purtroppo ci sono voluti due morti nelle file dell’opposizione, Choukri Belaid e Mohamed Brahmi, entrambi molto critici nei confronti del governo Ennahda e uccisi dai jihadisti.
L’Arabia Saudita nel frattempo ha provveduto a dichiarare i Fratelli Musulmani organizzazione terrorista ed ha dichiarato illegale ogni attività dell’organizzazione nel Regno. Anche gli Emirati Arabi da diversi mesi stanno procedendo con arresti di cittadini egiziani accusati di aver tentato di organizzare cellule della Fratellanza da infiltrare nel paese.
Persino nel complicato contesto palestinese i Fratelli Musulmani sono pesantemente in crisi. Hamas è stata dichiarata dall’Egitto organizzazione terrorista; i tunnel che collegano Gaza al Sinai sono stati distrutti, il confine è chiuso e l’esercito egiziano ha sequestrato tutti i depositi di armi del gruppo. Nel contempo Fatah alza la voce contro il movimento islamista accusandolo di aver ridotto la popolazione di Gaza in condizioni disastrose; in aggiunta, nella Striscia la popolarità del movimento Tamarrod palestinese, in contrapposizione a Hamas, è in aumento tra i giovani.
Il conflitto interno dei jihadisti in Siria e l’opposizione curda
Se inizialmente jihadisti ed Esercito Libero Siriano potevano sembrare dei blocchi più o meno monolitici entrambi in lotta contro Assad, in realtà le frammentazioni interne erano già presenti ed era inevitabile che nell’arco di poco tempo la situazione potesse degenerare. Se da una parte l’opposizione armata siriana si è progressivamente indebolita e frammentata, in contemporanea è scoppiata una vera e propria guerra tra i principali gruppi jihadisti, i salafiti Jabhat al-Nusra e Ahrar al-Sham da una parte e Islamic State of Iraq e Siria dall’altra. A fine febbraio il leader di al-Nusra, Abu Mohammed al-Golani ha lanciato un ultimatum all’Isis: “fornite prove di innocenza per quanto riguarda l’uccisione dell’emissario di al-Qaeda, Abu Khaled al-Souri, smettetela con le accuse di apostasia e riunitevi alla comunità o vi faremo la guerra”.
Gli analisti ritengono che l’Isis è nato dall’Isi (Islamic State of Iraq), gruppo legato ad al-Qaeda Iraq e nel 2011 avrebbe contribuito alla creazione di Jabhat al-Nusra. Nell’aprile 2013 il leader dell’Isi, Abu Bakr al-Baghdad, annunciò la fusione del suo gruppo con al-Nusra e la nascita dell’Isil, mossa rigettata però da al-Golani e dallo stesso Ayman al-Zawahiri; in poche parole al-Qaeda non riconosce l’Isil come sua affiliata. In realtà non è la prima volta che sorgono dispute tra le due organizzazioni; il fondatore di al-Qaeda Iraq, Abu Musab al-Zarqawi, era in più occasioni entrato in contrasto con la leadership di al-Qaeda, tanto da ricevere un richiamo scritto da parte di al-Zawahiri per aver causato violenza settaria in Iraq oltre che per aver messo in pratica azioni non ritenute consone dall’organizzazione di Bin Laden. Nel frattempo i jihadisti si sono in più occasioni scontrati con le milizie curde presenti nel nord della Siria e dell’Iraq. E’ chiaro che i curdi non hanno alcuna intenzione di lasciare che tali gruppi penetrino nei loro territori per imporre la sharia e lo hanno dimostrato chiaramente in più occasioni, causando notevoli perdite ai jihadisti.
Israele
C’è poi Israele che si è improvvisamente ritrovato circondato da instabilità e che non può più considerare nessun confine “sicuro”. Nel Sinai egiziano ci sono gruppi di jihadisti legati a Hamas e ad Ansar al-Maqdis. L’esito delle prossime elezioni egiziane resta un’incognita così come egli eventuali rapporti tra i due paesi, anche in vista della possibile candidatura di al-Sisi, che per molti egiziani rappresenta un po’ un nuovo “Nasser”.
A Gaza si sta rafforzando il ruolo della Jihad Islamica. Nel sud del Libano sono tutt’ora presenti le milizie di Hizbullah che, seppur parzialmente indebolite dal conflitto siriano e dagli scontri interni con i salafiti, restano comunque una minaccia. Oltre le alture del Golan, ritenuto fino a poco tempo fa il confine più sicuro dello Stato ebraico, sono presenti gruppi di jihadisti che potrebbero tentare di infiltrarsi in territorio israeliano per compiere attentati e in più l’esercito di Assad è ancora in forze.
Vi sono inoltre le spedizioni di armi iraniane che persistono nel tentativo di rifornire i gruppi armati a Gaza, come dimostrato dalla nave Klos-C, partita dall’Iran e bloccata sul Mar Rosso la scorsa settimana; a bordo i militari israeliani hanno trovato un carico di missili M-302. Il carico di missili sarebbe partito da Damasco per raggiungere il porto iraniano di Bandar Abbas e caricato sulla Klos-C che si è diretta verso Port Sudan da dove i missili, secondo Israele, dovevano essere trasferiti nel Sinai e quindi a Gaza.
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