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The inevitable decline of Erdogan

06 March 2014

Giovanni Giacalone on the decreasing popular support in Turkey for Tayyip Erdogan and the AKP.

L’inesorabile declino di Erdogan

L’ANALISI – Tayyip Erdogan ha dichiarato mercoledì che sarebbe pronto a dimettersi se il suo partito non dovesse vincere le elezioni amministrative di fine marzo 2014: “Sono pronto a lasciare la politica se il mio partito non dovesse uscire vincitore alle elezioni”. Un’affermazione con cui potrebbe dover presto fare i conti visto e poiché i pronostici non sono dei migliori; un sondaggio della Metropoll dello scorso gennaio dimostra come il sostegno popolare nei confronti del suo partito, l’AKP, sia sceso dal 50% del 2011 al 36,3%. Per quanto Erdogan possa cercare di apparire forte e sicuro di se, i fatti parlano chiaro: rivolte soppresse con la violenza, persecuzione nei confronti di ogni forma di dissenso e tanta corruzione, un leader sconfitto da se stesso.

La tangentopoli turca – Dopo le indagini anti-corruzione che avevano messo in serio imbarazzo il Premier coinvolgendo diversi esponenti del suo entourage tra cui i figli di tre ministri e diversi funzionari pubblici, sarebbe trapelata una registrazione dove Erdogan e suo Figlio Bilal parlerebbero delle modalità con cui far sparire grosse somme di denaro intascate in modo illecito.

Secondo i media turchi la registrazione risalirebbe al dicembre 2013, periodo in cui sono stati eseguiti i primi arresti, tra i quali quelli dei figli dei tre ministri. Immediata la richiesta di dimissioni da parte dell’opposizione, nonostante la difesa del premier, che parla di prove “false” e “montatura” per destituirlo. Nei giorni scorsi, erano inoltre uscite altre intercettazioni in cui Erdogan parlava con dirigenti del gruppo editoriale Ciner, editore del quotidiano Haberturk, e ordinava di non pubblicare notizie su politici di partiti avversari. L’autenticità delle registrazioni deve ancora essere dimostrata, ma intanto il governo AKP subisce l’ennesimo colpo, forse “letale” a poche settimane dal turno elettorale.

A dicembre, su ordine del governo e in maniera assolutamente anti-costituzionale, numerosi ufficiali di polizia che si stavano occupando delle indagini erano stati estromessi dai propri incarichi, ma a questo punto neanche drastici provvedimenti di questo tipo sembrano poter aiutare il Premier, ormai sempre più solo.

Il “divorzio” tra Erdogan e Gulen – Tayyip Erdogan iniziò la sua carriera politica come seguace di Necmettin Erbakan, ex Primo Ministro turco deposto nel 1997 a seguito di un intervento dei militari. Erbakan, scomparso nel 2011, fu un uomo politico dalla forte ideologia islamista e favorevole all’allontanamento dall’Occidente, fondò il movimento Mili Gorus, molto presente in Germania e il suo partito, “Refah Partisi”, fu messo al bando dalla magistratura turca nel 1998 con l’accusa di promuovere l’estremismo islamico.

Erdogan fu dunque costretto ad allontanarsi dal movimento islamista “erbakaniano” per procedere con la propria carriera politica, fondando l’AKP e andò a cercare l’appoggio di un uomo di grande influenza, Fetullah Gulen, figlio di un imam, predicatore e politologo. Gulen sostiene la necessità della “coesistenza pacifica” e del dialogo tra le civiltà e religioni su scala internazionale e auspica una rinascita del moderno mondo musulmano; crede inoltre che l’Islam e la democrazia siano perfettamente compatibili ed appoggia l’ingresso della Turchia in Europa. Erdogan promise dunque al suo nuovo alleato di procedere con i lavori per un prossimo ingresso della Turchia in Europa e di portare il paese verso una vera e propria democrazia libera da influenze inopportune da parte degli apparati di governo.

I fatti però hanno dimostrato tutt’altro, oggi la Turchia di Erdogan è ben lontana da un possibile ingresso in Europa ed anche da una potenziale democrazia. Il paese è notevolmente regredito dal punto di vista dei diritti umani, al punto che secondo il Committee to Protect Journalists di New York, la Turchia è una delle più grandi “galere per giornalisti” del mondo, assieme a Cina ed Eritrea, con 40 arresti soltanto nel mese di dicembre 2013.

Erdogan nel contempo abbaia contro tutti, Unione Europea, giornalisti, manifestanti e parla di “forze oscure” e “complotti”, un chiaro riferimento al suo ex alleato Gulen. Pare che l’ultima idea dell’esecutivo AKP sia la chiusura di un network di scuole “guleniane”. Egli ha inoltre minacciato ulteriori provvedimenti contro organizzazioni e strutture che minacciano gli interessi del paese, una volta vinte le elezioni amministrative; anche qui i riferimenti sono più che ovvi.

E’ probabile che Erdogan, da tempo in preda a reazioni ben poco ponderate, pensi di poter mettere tutto a tacere nel caso in cui il suo partito dovesse miracolosamente uscire vincitore dal turno elettorale e chissà che la popolazione turca non tema che i miracoli siano in realtà “giochi di prestigio”. Speriamo di no.

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