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Three years after Mubarak, Egypt welcomes new dictator

28 January 2014

“It is almost official now that the Egyptian chief of the armed forces, Abdel Fattah al-Sisi, would run for the next presidential elections.” Would General al-Sisi’s victory pave the way for democracy in Egypt? EFD Researcher Giovanni Giacalone provides a comprehensive view of the current Egyptian policy framework and the difficulties it faces to achieve democracy.

 

E’ quasi ufficiale ormai, il capo delle forze armate egiziane Abdel Fattah al-Sisi avrebbe intenzione di candidarsi alle prossime elezioni presidenziali. Manca ancora una sua dichiarazione ufficiale ma nella giornata di ieri il presidente ad interim Adly Mansour lo ha promosso da generale a maresciallo, un titolo onorifico che solitamente anticipa le dimissioni, necessarie per intraprendere la carriera politica. Mansour ha inoltre annunciato che le presidenziali saranno anticipate ad aprile; si terranno quindi prima delle elezioni legislative previste entro la fine di luglio, ribaltando così la road map stabilita dal governo provvisorio. Una decisione che non è ancora stata confermata dall’Alta Commissione Elettorale. In una registrazione vocale sulla TV di stato egiziana il Consiglio Supremo delle Forze Armate (Scaf) ha approvato la potenziale candidatura del generale dichiarando: “Lo Scaf non può che vedere con onore e rispetto il desiderio del popolo egiziano di nominare il generale Abdel Fattah al-Sisi per la presidenza”.

Nel paese al-Sisi gode di un fortissimo sostegno popolare, considerato l’eroe che ha messo fine al regime dei Fratelli Musulmani lo scorso luglio dopo che l’ex presidente Mohamed Mursi si è rifiutato di ascoltare le richieste di milioni di egiziani che erano scesi nelle piazze per chiedere elezioni anticipate. Secondo alcuni egiziani che appoggiano apertamente il Generale il fatto stesso che la nuova Costituzione sia stata approvata con il 98% è un chiaro segnale di pieno supporto ad al-Sisi. Altri fanno però notare che soltanto il 38,6% degli aventi diritto si sono recati alle urne e ricordano che il 98% è un risultato inquietante che ricorda i risultati elettorali di quei paesi di stampo dittatoriale.

Posizione condivisa dai sostenitori dei Fratelli Musulmani, i cui rappresentanti hanno fatto di tutto per boicottare il referendum incitando i propri sostenitori a non andare a votare. Una mossa di per sé inutile se non dannosa in quanto votare “no” poteva comunque dare dei risvolti positivi attraverso un processo di voto di stampo democratico. Vi sono poi quegli egiziani di stampo laico che non sono a favore di Mursi ma esprimono la propria frustrazione in quanto temono il ritorno al potere di un altro militare tre anni dopo la deposizione di Hosni Mubarak. In particolare ricordano che al-Sisi dirigeva l’intelligence militare sotto il vecchio regime. In poche parole si teme che la candidatura di al-Sisi non sia altro che un tentativo da parte dei militari di mantenere il potere politico del paese.

Intanto i festeggiamenti del 25 gennaio, data dell’inizio della rivolta contro l’ex presidente Mubarak, sono stati segnati da violenti scontri scoppiati al Cairo e in altre città del paese tra le forze di sicurezza e i sostenitori del governo provvisorio da una parte e i simpatizzanti dei Fratelli musulmani dall’altra; 49 i morti. Il 24 gennaio quattro autobombe sono esplose vicino a obiettivi legati al governo e alla polizia al Cairo, provocando almeno sei morti e oltre settanta feriti. Un elicottero dell’esercito è stato abbattuto con un missile terra-aria nel Sinai, dove da mesi si stanno intensificando le attività dei gruppi jihadisti filo-Mursi. Sempre nel Sinai, nei pressi di al-Arish, stanotte i jihadisti hanno fatto saltare un tubo del gasdotto che collega la penisola alla Giordania.

In seguito alla deposizione di Mohamed Mursi l’Egitto è piombato in una spirale di violenza senza precedenti con numerosi attentati al Cairo e in altre città, in gran parte rivendicati da un gruppo qaedista, Ansar al-Maqdis. Intanto la stampa egiziana afferma che Mursi è stato trasferito in elicottero dal carcere alessandrino di Borg al-Arab al Cairo dove verrà processato. L’ ex presidente islamista è accusato di spionaggio per conto di Hamas, di incitamento all’uccisione di oppositori politici durante il suo anno in carica ed è inoltre sotto indagine per essere evaso dal carcere, assieme ad altri membri della Fratellanza, durante la rivolta anti-Mubarak del 2011. Secondo gli inquirenti infatti i carceri vennero assaltati da militanti islamisti legati alla Fratellanza, a Hamas e a Hizbullah, nel tentativo di liberare i loro uomini.

E sale anche la tensione tra Egitto e Qatar, noto sostenitore del movimento dei Fratelli Musulmani in tutta l’area mediorientale e anche in Egitto. Il Cairo ha più volte lamentato interferenze del Qatar nelle questioni interne egiziane e ha reso nota l’intenzione di restituire un prestito di tre miliardi di dollari concesso dal Qatar al precedente governo Mursi. L’esecutivo ha inoltre lanciato un monito a Doha, affermando che potrebbe richiamare il suo ambasciatore se non cesseranno le intromissioni negli affari egiziani.

Una situazione sempre più complessa dunque quella egiziana. Se da una parte la popolazione guarda con favore alla road map del governo di transizione che dovrebbe portare il paese verso le elezioni, o almeno così è auspicabile, dall’altra c’è chi teme che la candidatura di al-Sisi, per quanto ampiamente appoggiata dal popolo, possa essere un tentativo dei militari di tornare al potere, facendo così allontanare il sogno democratico di milioni di egiziani. Indubbiamente la bassa affluenza alle urne per il referendum costituzionale (il 38,6% degli aventi diritto) è stato qualcosa di inaspettato per il governo egiziano che forse si aspettava una maggior partecipazione. E’ vero però che anche alle elezioni presidenziali del 2012 l’affluenza fu piuttosto bassa, con un 46,42% degli aventi diritto e con una vittoria molto risicata degli islamisti (51,7% per Mursi e 48,3% per Shafiq).

Bisogna però tener presente che la democrazia non può essere instaurata in pochi mesi in un paese che per decenni è vissuto sotto regime e i cui due poli principali del potere politico sono da sempre l’esercito e gli islamisti. E’ necessario che le istituzioni e i vari schieramenti facciano tutto il possibile per coinvolgere i cittadini tutti nel processo di democratizzazione del paese facendo in modo che vi siano le condizioni necessarie per implementare un meccanismo indubbiamente nuovo per il contesto egiziano e per aumentare la fiducia nelle istituzioni; bisogna inoltre abbandonare la logica della contrapposizione violenta e dello scontro. Ciò richiede tempo e sacrifici.

Il timore di alcuni che la candidatura di al-Sisi possa essere legata a un tentativo dei militari di assicurarsi il potere politico del paese è più che legittimo visti i precedenti, ma non si può certo dire che dall’altra parte i Fratelli Musulmani siano un esempio di democrazia e, al di là delle violenze dei propri sostenitori e degli attentati da parte dei jihadisti, basta pensare alla posizione presa nei confronti del referendum costituzionale. I rappresentanti della Fratellanza hanno preferito la “non-partecipazione” a un’iniziativa che, per quanto promossa da un governo a loro dire “golpista”, è pur sempre un processo elettorale di stampo democratico. Che senso può avere intimare il “non-voto” ai propri sostenitori quando un semplice “no” sulla scheda poteva magari portare a esiti ben diversi? Insomma, è auspicabile che con le prossime elezioni il popolo egiziano riesca finalmente a liberarsi da questa sanguinosa contrapposizione tra militari e islamisti. Come afferma l’islamologo Paolo Branca: “un dittatore per disperazione può anche essere comprensibile, ma la democrazia è ben altra cosa”, nulla di più vero.

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